Carnia, terra di confine. E anche questa pagina a volte sconfina in altri luoghi, veri o metaforici

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Sandrine, la dannata dai Florîts – i racconti di Lino Bugar

La Carnia, questa terra aspra, verde e rustica, oltre che dai suoi sempre meno numerosi abitanti, è popolata da secoli anche da figure mitologiche che non sempre si curano di restare nell’ombra. A volte si mostrano, fugaci o spaventose, lasciando dietro di sé echi di un mondo che non è mai del tutto scomparso.
Le agane dai piedi ritorti, eteree creature d’acqua e d’ombra, si aggirano nei pressi di laghi e torrenti, benevole o respingenti a seconda del loro umore variabile come i corsi d’acqua. Nei boschi si muovono gli sbilfs, folletti dispettosi e imprevedibili, che confondono i viandanti e scompigliano le greggi.
Dentro le montagne, in enormi e profonde caverne dorme un gigante primordiale: l’Orcolat. Quando si sveglia dal suo sonno letargico, però, scuote la terra provocando terremoti.
E poi ci sono figure ancora più misteriose e arcane, così affascinanti da catturare perfino l’immaginazione di Giosuè Carducci, che le immortalò nei suoi versi.
Sulle creste del Monte Tenchia, in una radura nascosta tra gli alberi, durante spaventosi sabba notturni danzano streghe così potenti da far avvizzire l’erba al solo tocco dei loro piedi.
Lasciano sul terreno cerchi anneriti, tracce silenziose dei loro girotondi malefici, che resistono alla pioggia e al sole, tanto che il luogo ha preso il nome del Pian delle Streghe.
Poco più in là, l’anima dannata di Silverio continua a scavare i pendii del Moscardo, consumandone le rocce con la stessa pena che lo divora da secoli.
Un tormento senza fine, inciso nella pietra giorno dopo giorno.
Anche a Tolmezzo, nella Citate sotto l’Amariana, le anime dei dannati sono condannate a far rotolare pietre per l’eternità, e chi vive in Betania o a Illegio più volte ha sentito questi sinistri rumori.
Meno famosa invece è la Sandrine (pronuncia Shandrine), la dannata dei Florîts, i pascoli a metà strada circa tra la Malga Plotta e il rifugio Marinelli, coperti in estate dalle fioriture di rododendri, genziane e altri fiori alpini (da cui presumibilmente il nome ‘Florîts’).
Nei Florîts un tempo c’era una malga monticata regolarmente, oggi ne rimangono solo pochi ruderi perimetrali. Ma chi conosce quei luoghi, li conosce davvero, sa che lì, oltre alle pietre, qualcos’altro è rimasto.
Quando penso a quei luoghi, per me tanto familiari, non posso fare a meno di riflettere su quanto sia strano il destino, quel filo misterioso che lega luoghi, persone e vicende…
Mio nonno Giobatta ‘Titot’, che fece per decenni il malgaro proprio a Malga Plotta e a Collina Grande, nacque esattamente 100 anni prima di mia figlia, stesso giorno, mese e anno — solo un secolo a dividerli.
E proprio in quei pascoli, il 7 agosto 1956, perse tragicamente la vita, cadendo di notte in un crepaccio sotto il Marinelli, mentre nasceva prematuro suo nipote, mio cugino. Una vita che se ne andava e una che cominciava, nello stesso istante. Come se tutto fosse già scritto.

La lapide dedicata a mio nonno nel punto in cui perse la vita

La mainute dedicata a mio nonno, fatta edificare a sue spese dal Sior Leo, ai tempi proprietario della malga Collina Grande e della cava di marmo sottostante. Nella mia famiglia si è sempre parlato con grande rispetto, gratitudine e stima del Sior Leo.

Dopo la morte di mio nonno Titot, le malghe vennero affidate ai cugini di mia madre, i Bugars Pieri e Lino.

Malga Plotta. Adami Lino – Bugar, che purtroppo ci ha lasciati nel 2020. Lino è il narratore dei fatti raccontati in questo post. Foto gentilmente concessa dalla signora Laura Plozner Van Ganz

Casera Plotta

Pieri e Lino erano uomini semplici, schietti e sinceri, amati e stimati da tutti coloro che salivano lassù: escursionisti, sognatori, amici e camminatori solitari. Chi si fermava per comprare una ricotta, un formaggio, o anche solo per bere un tai in loro compagnia e sentirsi accolto come a casa.
E a chi aveva la fortuna di entrare in confidenza e conquistarne la fiducia… beh, forse sarà capitato di ascoltare anche la storia della Sandrine, la dannata dei Florîts.
Che non è scritta nei libri.
Ma sopravvive nella voce roca di chi ha vissuto davvero la montagna.

Io la Sandrine me la immagino così…

La leggenda racconta che la Sandrine, presumibilmente accompagnata dal marito o da fratelli — non è dato saperlo con certezza — gestisse la malga dei Florîts nell’Ottocento. Era conosciuta come una donna avida, scaltra, ruspie – ruvida – e aveva trovato un modo subdolo per imbrogliare i proprietari delle vacche che le venivano affidate per il pascolo estivo.
All’epoca, i proprietari salivano una volta al mese per assistere alla mungitura e ritirare la loro parte di formaggio, una quota proporzionale al latte prodotto dalle loro bestie.
Ma la Sandrine non voleva dividere nulla.
La sera prima della mungitura passava del sapone sui denti delle bestie, così che il giorno dopo producessero pochissimo latte. Il trucco era efficace: i contadini, ignari, ricevevano meno formaggio, mentre lei e i suoi si tenevano il resto.
La giustizia terrena non riuscì mai a condannarla. Ma quella ultraterrena invece sì.
Dopo la sua morte, si racconta che le mucche rifiutassero di entrare nei recinti della malga dei Florîts, e che i nuovi malgari non riuscissero a dormire: sentivano lamenti nel buio, stridii raccapriccianti, rumori che sembravano venire dal nulla.
Un prete fu chiamato a benedire il luogo e scacciare quelle inquietanti presenze invisibili. Una, due, tre volte.
Ogni volta sudava freddo, tremava, balbettava le sue preghiere tra i denti serrati. Ma preghiere, acqua santa e benedizioni non sortirono alcun effetto: i rumori inspiegabili, i lamenti nel buio, l’atmosfera angosciante continuavano a infestare quei luoghi, come l’odore di fumo del fogolâr che impregnava le pietre annerite dalla fuliggine.
La malga dei Florîts fu abbandonata nei primi anni del Novecento.
E da allora nessuno ha più osato riportarvi le bestie.

Molti decenni dopo questi avvenimenti, Lino Bugar si trovava in Collina Grande. Era pieno giorno, il cielo terso e l’aria frizzante tipica delle alte quote.
Mentre era intento ad accudire le bestie monticate in quella casera, vide salire per il sentiero una donna alla guida di una mandria di una decina di mucche, chiusa da un uomo. Sentì distintamente le loro voci che incitavano gli animali, i campanacci, i muggiti.
Ma quel giorno nessuno doveva salire. E nessuno arrivò. La mandria non passò mai da Collina Grande, eppure c’era un solo sentiero e nessuno lo aveva attraversato. Non c’erano tracce di passaggio di animali né di umani. La donna, le mucche e l’uomo in fondo alla fila erano svaniti nel nulla, senza lasciare impronte, resti né suoni.
Lino tornò terrorizzato alla casera Plotta, raccontò tutto al fratello Pieri. Era certo: quella era la Sandrine. Aveva sentito sussurrare storie su di lei. Si diceva che dopo la morte, la Sandrine fosse stata condannata a vagare in eterno tra quei pascoli, guidando una mandria che non sarebbe mai arrivata a destinazione, in cerca di una stalla che non l’avrebbe mai accolta.
La voce si sparse. Alcuni risero. Altri, che conoscevano queste antiche storie, si fecero il segno della croce.
Un medico visitò Lino e attribuì la visione a un eccesso di latticini e di suggestione.
Ma chi ha parlato con Lino, chi lo ha ascoltato raccontare ciò che credeva di aver – o aveva davvero? – visto, con quegli occhi fissi e la voce che tremava… giura che se lo sentivi raccontare, ci credevi.

Perché il destino, lassù, non è mai solo coincidenza. È una trama segreta che unisce epoche, nomi, discendenze, come i fili d’erba che si intrecciano al vento.

In ricordo di Lino Bugar, uomo dal cuore puro, buono e sincero.
E di Pieri, che condivideva lo stesso animo e cuore del fratello.
Sono fiera di condividere il mio sangue con voi.

Ringrazio i miei cugini Angela e Paolo Adami per il racconto, i ricordi e le foto di casera Plotta.
E grazie alla signora Laura Plozner Van Ganz per la foto di Lino dentro la malga, intento alle sue opere casearie.

  1. Silvia Menazzi

    Adoro queste leggende o storie (tramandate e poco conosciute) delle nostre montagne… Sapevo delle streghe sul Tenchia… Ci sono libri da poter aquistare in libreria… Se si quali e dove GRAZIE

  2. Villiam

    Ora ho 65 anni Mi ricordo quando ero bambino i miei vicini anziani che frequentavano quelle malghe mi hanno parlato di questa storia poi dicevano che nella vicina malga monuments i pastori si svegliavano di notte perche sentivano nelle stalle il rumore del” rali”un attrezzo che adoperavano per pulire le lettiere delle mucche sentivano chiamare gli animali per nome solo che quando i pastori andavano a vedere non c’era nessuno tutto silenzio

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