Carnia, terra di confine. E anche questa pagina a volte sconfina in altri luoghi, veri o metaforici

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L’Ors di Pani, il Patriarca della Carnia – prima parte

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Le fiere del bestiame di Villa Santina e Tolmezzo, fino ai primi anni ‘60 del secolo scorso, richiamavano, oltre a contadini e allevatori interessati a vendere o comprare gli animali, anche un gran numero di persone da tutta la Carnia, che approfittavano del grande mercato per ammirare le merci in vendita e acquistare mandorle caramellate, cioccolatini, mandarini e altre prelibatezze che di rado potevano sia gustare che comprare.
Quando, tra le polverose strade occupate da venditori e compratori, galline starnazzanti e giovenche, pecore e capre al seguito dei padroni, compariva un uomo dall’aspetto selvatico, con capelli e barba rossicci, arruffati e ipertrofici, vestito con abiti stazzonati di lana grezza, camicia di flanella sbottonata sul torso villoso e dalminis ai piedi, la folla fino a quel momento vociante si zittiva dividendosi a metà per farlo passare; gli uomini si toglievano il cappello in segno di rispetto e le donne chinavano il capo. Quell’uomo, sceso dall’altopiano di Pani, sopra Raveo, era Antonio – Toni – Zanella, conosciuto da tutti come l’Ors di Pani, e definito spesso addirittura il Patriarca della Carnia.

L’Ors di Pani, foto web

Accade spesso, soprattutto nelle vicende che affondano le proprie radici in tempi lontani, che il confine tra leggenda e realtà sia labile, rendendo difficile stabilire dove la cronaca dei fatti realmente accaduti lasci spazio alla fantasia.
Nel caso dell’Ors di Pani, sembrerebbe forse più facile riuscire ad attenersi ai fatti reali, visto che morì a quasi sessantotto anni nel 1955 e ancora qualche anziano ne conserva il ricordo; ma la sua vita è stata così particolare, ricca di avvenimenti e soprattutto straordinaria, nell’accezione di “al di là dell’ordinario”, che egli è comunque diventato una figura mitologica, quasi al pari del dannato Silverio, condannato per l’eternità a erodere le rocce del Moscardo, di cui cantò anche il Carducci (Su la rupe del Moscardo / È uno spirito a penar: / sta con una clava immane / La montagna a sfracellar).
La figura e la vita stessa dell’Ors di Pani avevano tutte le caratteristiche per diventare leggenda già mentre era in vita: nell’immaginario collettivo non era soltanto un uomo, non un animale, ma quasi una divinità pagana dei boschi, come un fauno: selvaggio, potente, sessualmente vorace e instancabile…
Antonio era ricchissimo, padrone di quasi tutto l’Altopiano di Pani, volitivo, intelligente, e con un aspetto irsuto, che ben si addiceva al soprannome di Ors – che tuttavia aveva ereditato dal padre Tomaso, l’Ors di Mariane – insieme al carattere burbero, chiuso, solitario e allo stesso tempo generoso con chi si trovava nel bisogno, purché non fosse una persona da lui ritenuta lamentosa, troppo insistente o nel bisogno perché scansafatiche o scialacquatrice.

Pani, foto di Pellizzari Adriano

L’Ors era uno degli uomini più ricchi della Carnia; possedeva ettari ed ettari di boschi, pascoli e terreni, tanto che Pani era considerato il suo regno; lì allevava mandrie con centinaia di capi: vacche da latte e da carne, capre, pecore, galline e conigli. E denaro più di quanto un carnico delle valli potesse perfino immaginare.
Ancora oggi, non c’è carnico che non abbia sentito raccontare l’aneddoto dell’Ors che, recatosi in un albergo di lusso – chi dice al Danieli di Venezia, chi a Udine, chi a Cortina… il luogo cambia, ma non il resto del racconto – si vide togliere dal tavolo la tovaglia da un cameriere scortese, che, valutandolo dall’aspetto, lo giudicò non all’altezza del locale. L’Ors non si scompose: estrasse dalla sua saccoccia di pelle un fascio di banconote e rivestì completamente il tavolo, lasciando il cameriere e gli altri astanti esterrefatti.
Da tanta ricchezza, derivava altrettanto potere. Potere di condurre la sua vita come meglio riteneva, libero da ogni imposizione morale a cui invece sottostavano tutte le persone desiderose di una reputazione che non desse adito ai pettegolezzi e alle dicerie delle temute malelingue.
All’Ors non importava nulla di ciò che gli altri carnici temevano tanto: le chiacchiere della gente, l’invidia, la riprovazione per una condotta ritenuta immorale, perfino l’ira di Dio. Lui viveva come voleva, seguendo i suoi personali comandamenti: lavorare, produrre e accumulare ricchezze, risparmiare e, pur credendo in Dio, dando supremo valore alla sua concezione di libertà, completamente incurante della morale comune, delle imposizioni religiose, delle opinioni altrui. L’Ors imponeva la sua volontà e il suo stile di vita anche ai suoi familiari, a costo di ricorrere non solo all’intimidazione verbale, ma anche violente aggressioni fisiche.

… continua

  1. Antonietta Teon

    Sono una discendente di Antonio Zanella.
    Apprezzo che venga ricordato essendo stato effettivamente un personaggio positivo per la società carnica di quegli anni, anche se particolare…
    Trovo pero’ che nel descrivere la sua personalita’ si sia estremizzato.
    Questo mio giudizio si basa sulle testimonianze di chi, parenti e non che ben lo conoscevano, mi sono giunte nei decenni.

  2. Bepi

    Storia interessantissima , un mito….e la seconda parte come la trovo..?

  3. Marilena

    Chi l’ha detto che credeva in Dio? Io spero fosse ateo.

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