Carnia, terra di confine. E anche questa pagina a volte sconfina in altri luoghi, veri o metaforici

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Guardando un vecchio album fotografico di me bambina, nei primi anni ’80, mi è balzato subito agli occhi che oltre ad essere quasi sempre ritratta mentre mangio qualcosa (le vecchie abitudini sono dure a morire…) in estate indosso sempre un fazzoletto sulla testa. Li odiavo, ma sia mia mamma che mia nonna me lo mettevano sempre, per paura che prendessi un’insolazione. Possibilità più che remota, visto che fin da bambina avevo il doppio dei capelli di una persona normale, ma vai tu a farlo capire a due carniche purosangue…
Così, oggi prendo spunto da questo ricordo e vi mostro alcuni ritratti femminili esposti al museo carnico per raccontarvi qualcosa dell’evoluzione nella moda dei copricapi femminili in Carnia e anche un po’ della storia dietro l’usanza di coprire i capelli delle donne.

Il copricapo femminile più antico che incontriamo in museo è il fazzûl (qui sopra lo vediamo indossato dalla donna ritratta), una sciarpa di tela di lino lunga e stretta, che le donne portavano avvolto sulla testa a guisa di turbante e le cui estremità, solitamente fregiate con frange e peneri, ricadevano sulle spalle.
L’uso del fazzûl sembra essere esclusivo delle Alpi Friulane (e non solo carniche, poichè negli inventari della zona di Maniago del ‘500 e della prima metà del ‘600, il f. carnico è stato identificato con il “fazȏl o faciol di lino o bombaso“. Il suo uso sembra terminare nel secolo XVIII, ma già nella seconda metà del Settecento la moda stava radicalmente cambiando, sostituendolo con il quadri (o piezze).

 

Il quadri è un pezzo di tela di lino (raramente di cotone) quadrato, più o meno finemente ricamato e dal lato di circa un metro, che veniva portato a triangolo, con i due lembi annodati dietro la nuca o ricadenti sul petto se portato in chiesa o durante una processione.
L’uso del quadri si è protratto dall’inizio del Settecento fino alla fine dell’Ottocento, anche se già dalla metà dell’Ottocento il fazzoletto da testa (fazzolet) a colori vivaci, di cotone, lana o seta a seconda del vestito indossato, prese il sopravvento. In caso di lutto, e sempre per vedove e donne anziane, il fazzolet era nero o comunque di tinte scure, spesso di tessuto operato.

  Una piccola Vienincarnia con il fazzolet in testa. C’è da dire che mia mamma me li abbinava sempre con i vestiti. Ricordo che il mio preferito era bianco con le coccinelle

sempre io qualche anno dopo… nessun simbolo di sottomissione, verecondia o modestia dietro il mio foulard, ma solo una più prosaica necessità di nascondere la chioma durante il lockdown dell’anno scorso 😀

Ma ora facciamo un salto nel tempo!

L’origine della tradizione di coprire il capo femminile si perde quasi nella notte dei tempi: già San Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi (11,2-16), scrive:
“Voglio che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con la testa coperta, manca di riguarda al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sulla testa, manca di riguardo al proprio capo…”
Presso gli Assiri il velo era prerogativa delle donne sposate, mentre prostitute, schiave e donne nubili non avevano il diritto di indossarlo. In Grecia il velo simboleggiava pudore e modestia e le donne non velate comunicavano disponibilità sessuale.
Anche nell’antica Roma si raccomandava alle donne di coprirsi il capo per essere modeste e di conseguenza rispettate. Il velo che indossava una donna romana era diverso da quello delle donne consacrate, le Vestali, che ne portavano uno, quadrangolare, bianco con bordi rossi.
Si ritiene che furono proprio le Vestali a dare a San Paolo l’idea che il velo per una donna fosse sinonimo e simbolo di rispettabilità, dignità e castità,  e un segno di subordinazione da imporre a tutte le cristiane.
Tertulliano (155-220ca), uno dei Padri della Chiesa, sancì che il velo come segno della modestia e della sottomissione femminile agli uomini e a Dio andava portato dalle donne di qualunque ceto, età e ragione sociale, sempre e ovunque.
San Paolo e Tertulliano hanno imposto un uso del velo che già c’era, ma legandolo strettamente al significato di verecondia, ma anche e soprattutto alla necessità di sottomettere la donna, impedendole di seguire le orme della progenitrice Eva, disobbediente, sfrontata e creatrice di disordine. E’ evidente che l’uomo in tutto questo veniva visto come un sempiterno Adamo: debole, incapace di resistere alla tentazione (della carne, in questo contesto, ma non solo) che la donna avrebbe esercitato su di lui.
Un’interessante conferma di questa lettura ce la fornisce il frate Giovanni da Capestrano che nel XV secolo sancisce nel suo “Trattato degli ornamenti, specie delle donne” l’obbligo per tutte le donne di velarsi, a meno che non fossero di provata deformità dei lineamenti o ci fossero ragioni incontrovertibili per cui il capo scoperto non potesse suscitare pensieri impuri o lascivia negli uomini.
E come dimenticare che tuttora le religiose cristiane indossano il velo?
L’imposizione del velo per le suore entrò fin da subito a far parte del rito di consacrazione, e ha continuato nel tempo a rappresentare un elemento di identità e appartenenza a un preciso ordine.
Per i cristiani velare tutte le donne era un modo per sottolineare i valori del cristianesimo e anche renderle visibilmente diverse da Eva. Le donne dovevano essere percepite come un modello di virtù e velandosi il capo e il volto evitavano di trasformarsi in una pericolosa esca per il genere maschile, facilmente “inducibile in tentazione”.
Pensiamo al velo a sposa: il suo significato simbolico è ancora quello di modestia, castità e sottomissione a Dio e all’uomo, e il gesto del marito di togliere il velo alla moglie sancisce il passaggio di status postmatrimoniale. Probabilmente oggi pochi lo sanno e crediamo quasi nessuna sposa lo indossi per questo motivo, ma io per sicurezza, quel giorno di millemila anni fa rifiutai di indossarlo proprio perché a conoscenza di questo significato che era inconciliabile con il mio carattere…
In Occidente l’uso di uscire di casa a testa coperta è durato fino alla metà circa del secolo scorso. Nel secondo dopoguerra la copertura del capo delle donne è caduta in disuso, anche se è rimasta come abitudine nelle zone rurali, soprattutto per frequentare i luoghi di culto.
Mia nonna non sarebbe mai entrata in chiesa senza il fazzoletto, e come lei credo la maggior parte delle carniche e friulane nate almeno fino agli anni ’20 del secolo scorso.

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