Carnia, terra di confine. E anche questa pagina a volte sconfina in altri luoghi, veri o metaforici

Carnia, ironia

Vigji alla scoperta della Carnia – prima parte

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Disclaimer: questo è un post ironico: racconta la storia di Vigji, un personaggio inventato, e dei suoi incontri con altri personaggi inventati, tutte caricature di un carnico che forse non esiste più. I luoghi della Carnia descritti sono indefiniti e servono allo scopo di localizzare le avventure di Vigji. Non intendiamo arrecare danno né offesa ai carnici, ma solo far sorridere enfatizzando gli aspetti e i difetti più caratteristici e divertenti dei nostri conterranei.

“I Carnielli, in generale, sono gente sveglia, operosa, intraprendente (…)” Angelo Arboit, 10 maggio 1871.

I carnici, come ora vengono chiamati i “carnielli”, cjargnei in friulano, sono sicuramente gente operosa, sveglia e intraprendente. Non è questa la sede per disquisire di storia, emigrazione e imprenditoria carnica, c’è un’abbondante letteratura in proposito, scritta e documentata da persone più preparate sull’argomento di noi; quello che vorremmo invece fare in questo post è preparare ironicamente il visitatore a quello che lo aspetta, bellezze naturali e umane a parte, quando per la prima volta di accinge a varcare il confine carnico.
L’ignaro visitatore, che chiameremo, in onore della nostra lingua madre, Vigji, arriva in Carnia e osserva incantato le montagne e tutto il verde che lo circonda.

panoramica conca tolmezzina dal picjat.jpg

La conca tolmezzina, abbracciata dal Tagliamento, vista dal Monte Piciat.

Vigji decide di fermarsi a mangiare in un ristorante prima di raggiungere l’albergo o la casa in affitto che ha prenotato per il suo soggiorno. Come entra, sente parlare una lingua* strana, ricca di suoni sconosciuti e intercalari mai uditi prima. Che sia tedesco? No, non gli pare.
“Bundì! Veiso di mangjâ?” Vigji guarda spaesato il ristoratore, che borbotta: “Ah, a son forescj!” e gli ripete, stavolta in italiano: “Buongiorno, desiderate mangiare?”
Vigji si accomoda, si fa consigliare un menu tipico, mangia con estremo gusto, paga e se ne va.
“Mandi!” si sente dire da più persone.
“Che cosa devo mandare?” si chiede Vigji, che non capisce. Forse è un’usanza del luogo mandare una benedizione, un saluto particolare, un ringraziamento, quando si esce da un locale? O forse vogliono suggerirgli di mandare una cartolina a casa? Magari, in questo estremo lembo del nord est italico ai confini con l’Austria, non è molto diffusa la mania dei social e la gente scrive ancora cartoline a mano, si dice l’ignaro Vigji.
Prima che faccia sera, Vigj è stato apostrofato con 923284539752905 mandi, e non è ancora venuto a capo del mistero. Incuriosito e stanco, dopo cena chiede all’albergatore che lo ospita, un signore anziano, rubicondo e un po’ burbero: “Mi scusi, ma cosa devo mandare?”
“Comandi?”
“Tutti mi dicono “mandi”, ma non ho capito cosa…”
L’albergatore e tutti gli avventori del bar (in Carnia gli alberghi sono anche bar-ristoranti, e senza soluzione di continuità, nota Vigji, e nota anche che i bar sono molto frequentati, a qualunque ora) scoppiano in una grassa risata.
Vigji non capisce dove sia il divertimento, ma del resto non capisce nemmeno cosa stiano dicendo in quella strana lingua.
Alla fine, Vigji viene a sapere che “mandi” è il tipico saluto friulano, e significa “rimani con Dio, che Dio ti protegga”.
Risolto questo primo enigma, Vigji va a dormire. Il giorno dopo decide di fare un’escursione e chiede indicazioni a Tite, l’albergatore, che scopre essere un appassionato di montagna. L’albergatore quando parla delle sue montagne si trasforma: diventa chiacchierone, espansivo e bendisposto, perdendo completamente l’atteggiamento burbero della sera prima. Prepara a Vigji un ricco pranzo al sacco e gli dà consigli e indicazioni sui posti più belli, a parere suo, da vedere.
Vigji decide di iniziare con un’escursione facile e di visitare una malga, dove si fermerà a pranzo. Il paesaggio è incantevole, l’aria, seppur leggermente aromatizzata di… mucca, è frizzante e fresca, il cibo superlativo: si sente che ogni pietanza è stata preparata a mano con ingredienti naturali.
Vigji è già conquistato dalla Carnia, e vorrebbe tornarci con degli amici amanti della montagna e della buona cucina. Uno di loro, però, è intollerante al latte, così decide di chiedere se il menu della malga preveda anche piatti dairy free.
“Deiri ce?” Chiede Pieri, il malgaro, guardando Vigji con sospetto.
Vigji spiega.
“Ah,benon po! Jôt cun ce luanis ca mi ven fûr chest, cumò! Plats sence lat in tune malghe! E dopo ce? Lat sence lat? Spongje sence gras? Ma va mo,va va va!”
Vigji capisce di avere in qualche modo infastidito, forse offeso, Pieri, e gli chiede scusa. Aggiunge però di non aver capito nessuna delle sue parole.
“Ho detto di non venirmi fuori con salsicce**, adesso! Questa qui, se non ha capito, è una malga! E in una malga sa cosa si fa? Il formaggio! E il burro, la ricotta, il yoghurt, perfino, oggigiorno! E lei mi chiede piatti senza latte! Ma su mo su su, fati ridi, sì!”
Vigji non ricorda di aver menzionato salsicce, ma non osa puntualizzarlo, non vorrebbe far arrabbiare ulteriormente Pieri: quando agita le grandi mani venose e gonfie per il prolungato ammollo nel latte è minaccioso… e poi si sente sciocco: in effetti, il malgaro ha ragione.
Vigji fa ritorno in albergo e dopo cena si addormenta di sasso per la stanchezza. Domani lo aspetta una visita culturale.

 *La misteriosa lingua è il friulano, qui parlato in una delle tante varianti di carnico. Non fatevi mai sfuggire la definizione di “dialetto”, potreste incorrere nelle ire degli orgogliosi friulani! Il friulano, infatti, è stato riconosciuto come lingua.

** “no sta vegnimi fûr cun luanis”: potremmo tradurlo con “non raccontarmi storie assurde” “non fare storie inutili”, e viene usato quando l’interlocutore accampa scuse improbabili o nel caso di Vigji, usa una definizione inglese per definire quella che agli occhi del malgaro, che ha dedicato la sua vita all’allevamento delle mucche e alla produzione del formaggio, è quasi una blasfemia, un’invenzione  da “cittadini moderni.
Se avete figli, o siete voi, intolleranti alle proteine del latte, in malga mangiate carne o dei primi con condimenti che non prevedano latte, panna o formaggio. Ma, in nessun caso, chiedete latte di soja!

  1. valter

    ..carino l’incipit, un po’ scontato forse; ma il tutto prende vita quando assistiamo ai dialoghi fra Vigj, Tite e Pieri. Lì si percepisce a fondo la sensibilità di Antonella, intrisa, permeata,profondamente inserita nella “carniellitudine” che, mi duole contraddire l’Autrice, è molto meno riscontrabile di quanto lei pensi. Si coglie l’acuto spirito di osservazione di Antonella, che ha saputo ascoltare, non solo vedere, quanto le sta attorno. Qualità rsra oggi.

  2. v.b.

    Ci riprovo. Avevo espresso alcune mie impressioni riportate leggendo le vicende di Vigji, Pieri e Tite; preciso che sono, ovviamente, percezioni assolutamente personali. Secondo me l’incipit è un po’ spento rispetto al resto, dove Antonella si conferma per quella che io già conoscevo: una acuta osservatrice di quello che ci sta attorno, del linguaggio e dei modi di dire più autentici ora, ahimè, in disuso; e il suo racconto acquista verve, si respira aria di Cjargne, pare di percepire l’odore di “mucca”, l’atmosfera delle osterie (no bar) ove aleggiavano odori di vino sul fondo dei bicchieri e di fumo stagnante (si tagliava con il coltello), e in bocca il gusto del formaggio di malga e del burro fresco, assieme ai profumi di mille erbe e fiori. Le suggerirei (ma è un gusto del tutto personale) l’inserimento, nel prosieguo del racconto, di nomi di persona più”rustici” tipo: Nart, Gjelmo, Jacun, ecc.

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